Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei… → als PDF anzeigen…

Cooperazione, Nr. 8/2014

Dal consulente psicologico dell’alimentazione non si va solo per sapere le calorie occorrenti, ma per scoprire il valore del mangiare nella vita.

Cooperazione: Perché occorre un appoggio psicologico, la dietista non basta?

Gigia Mettler-Saladin: La dietista indica un regime alimentare esprimendosi in carboidrati, grassi e proteine. Anch’io lavoro con la piramide alimentare, ma vado più sul bisogno della persona con un approccio olistico. Chi viene da me racconta quindi anche le difficoltà che ha con il mangiare: guardo cosa «non quadra bene» per aiutare a trovare le risorse alternative che la persona porta con sé e che, scoprendole, fanno di nuovo quadrare la sua vita. Oggi, il cibo è dappertutto: i take-away, le noccioline al bar, le bibite da asporto, il cioccolatino sul posto del lavoro… insomma, si mangia tutto il tempo. In questo contesto dalle «mille tentazioni» tante persone si sentono lasciate sole. Qui intervengono le consulenti psicologiche dell’alimentazione.

Vuol dire che spesso non è sbagliato ciò che si mangia, ma il modo in cui viene fatto?

Sì, perché noi non mangiamo solo perché abbiamo fame. Ma anche perché siamo frustrati, stressati,… I sentimenti hanno a che fare con il mangiare, non con la fame.

È vero che i cibi ricchi di carboidrati semplici sono «gratificanti e rincuoranti»?

I carboidrati semplici, ovvero i dolci o anche il pane bianco che entrano subito nel sangue, nelle persone stressate hanno una funzione calmante. Diventano un problema quando sono troppi, allora occorre cercare altre forme di risorse meno caloriche. Ma alla base, i carboidrati per il nostro corpo sono importanti come la benzina per l’auto. Meglio però quelli più complessi, come i cereali integrali, perché reagiscono lentamente ma in modo duraturo.

Gestire le proprie emozioni cercando di evitare di sfogare nel cibo le frustrazioni: è anche una questione di autostima?

Sì, tante donne che hanno problemi col mangiare hanno un’autostima bassa. Ma ognuna porta in sé le forze e le risorse che le permettono di aiutarsi.

Ma osservando le pubblicità di diete che mostrano sempre persone «irraggiungibilmente» magre può essere scoraggiante. Non sarebbe più efficace mostrare il contrario?

Sono due estremi: in effetti, la maggior parte delle volte le persone raffigurate non sono realistiche e raggiungibili. Qui si gioca con la fantasia e i sogni della gente, perché ognuno vorrebbe essere bello e amato. L’altro estremo non funziona per una questione morale. La via di mezzo sarebbe di fare la pubblicità con persone normali.

Non è così che ognuno ritiene che il proprio modo di mangiare sia il più gusto, il più sano e gustoso?

No, pochi, oppure quelli non vengono da me. Negli ultimi due anni, diverse persone mi chiamano non per perdere peso, ma perché a furia di informazione e disinformazione non capiscono più cosa è giusto mangiare. Parlano di cibi «cattivi», di carboidrati «velenosi»…

Non siamo più in grado di poter scegliere la giusta alimentazione?

Più una persona è insicura, più difficoltà avrà a valutare la qualità dell’informazione. E qui constato sempre di più anche la distanza tra testa e la pancia. La gente funziona solo ancora con la testa: ha perso la propria fiducia nel corpo e non si accorge neanche più quando è sazia. Qui intervengo con esercizi che hanno l’obiettivo di riscoprire il proprio corpo e sentire la sensazione di sazietà.

In quale periodo della storia recente si è persa, secondo lei, la conoscenza del proprio corpo?

Direi verso gli anni ’90, in un periodo nel quale alla società si è cominciato a chiedere risultati in ogni ambito, a lavorare sempre più di testa e meno di pancia. Così, il mangiare è diventato più una questione di quello che vedo e di nozioni che ho, e non è più un atto di piacere per gustare con tutti i sensi.

Cosa vuol dire mangiare?

Mangiare è fare qualcosa per il corpo, l’anima, la salute e la socializzazione. È diverso se mangio da sola davanti al computer o in buona compagnia al ristorante. Il cibo in tavola dipende anche dal tempo che metto a disposizione, dalla religione, dalle motivazioni etiche. Insomma, sono tanti gli aspetti che influiscono sul mangiare e quindi sugli aspetti della vita. Questo è anche il mio approccio: dal consulente piscologico dell’alimentazione non si va solo per sentire quante calorie mi occorrono, ma per capire che valore ha il mangiare nella vita.

Può fare un esempio?

Un uomo, 45enne, con pancino che non vorrebbe avere. Racconta che lavora ininterrottamente. E qui sta il momento decisivo: prendersi il tempo per fare una pausa pranzo fuori ufficio. Già dopo una settimana di prova si è accorto che nella sua vita mancava la qualità che può dare uno stacco dal lavoro, per gustarsi buon cibo ma anche per liberare la mente per il pomeriggio. Così facendo, si è reso più efficace sul lavoro e in pari tempo ha perso peso.

Un’alimentazione sana rende più resistente allo stress e più equilibrati?

Sì, assolutamente, anche più felici.

Ma non fino al punto di dire che uno smoothie di frutta dà energia, mentre un pain au chocolat la toglie…

Giusto, dipende dal contesto, perché sarebbe molto triste se ci togliessimo il piacere di un pain au chocolat gustato di tanto in tanto! I frullati sanno di buono, va bene berne uno al giorno, ma è meglio mangiare il frutto intero per approfittarne delle sue fibre alimentari.

È vero che agli uomini piace di più mangiare qualcosa di cotto e caldo perché dà loro l’idea che qualcuno si sia curato di loro?

Le donne tendono a mangiare più insalate e verdura, gli uomini più carne: le classiche relazioni sono sempre ancora d’attualità. Anche se negli ultimi anni ci sono sempre più uomini attenti alla linea e che cominciano ad abbinare verdure alla carne.

Cambiare la routine non è facile, l’essere umano è un animale abitudinario…

Qui distinguerei le abitudini dai rituali. Il corpo è abitudinario e richiede tempo per i cambiamenti perché non li ama. Mentre noi umani amiamo i rituali perché sono punti di riferimento, come il caffè con la sigaretta a fine pasto. Il cambiamento va quindi fatto a più livelli. E si sa che le abitudini sono concatenate con il cervello. Ma finché la nuova abitudine non diventi «normale», appena la persona ha una crisi, il cervello torna ai vecchi schemi. Per cambiare è quindi molto importante trovare un altro rituale che sostituisca quello precedente.

Un’ultima domanda: lei ha due figlie, cosa ha imparato da loro a livello di educazione alimentare?

Ad essere flessibile, a sopportare che nell’età adolescenziale si prendano il diritto di mangiare cosa vogliono e di sdrammatizzare la percezione di vedersi grasse anche se non lo sono. E sono giunta alla conclusione che la cucina e la cultura che ruota attorno sono una bella eredità da tramandare.

Gigia Mettler-Saladin è nata a Locarno. Dall’età di 17 anni vive a Zurigo, dove ha uno studio di consulenza psicologica dell’alimentazione. Presiede l’Associazione svizzera delle consulenti psicologiche dell’alimentazione, «epb-Schweiz» creata nel 2010, con attualmente una quarantina di membri, per lo più nella Svizzera tedesca.